Le donne che creano scarpette rosse contro la violenza di genere: la storia della comunità protetta Il Mughetto di Castello di Annone

Un’esperienza singolare che, nell’Astigiano, coinvolge le vittime di violenza è al centro della seconda puntata de “Le storie di SOS donna” appena pubblicata sul sito web (sos-donna.it).

E’ la storia di una comunità protetta dove le donne accolte, pur restando dentro, fanno di tutto per essere in mezzo agli altri, quelli che stanno fuori. Si siedono al tavolo e disegnano, ritagliano la carta, incollano. Pezzi colorati che diventano cappelli inondati di fiori, scarpette rosse su cui scrivono “no alla costrizione”, borsette simbolo di femminilità. Ogni anno, per gli appuntamenti importanti, inventano qualcosa di diverso che sa di gentilezza, armonia: poi affidano gli oggetti a mani sicure affinché li portino fuori.

“Dentro” è la Comunità mamma-bambino Il Mughetto di Castello di Annone, le “donne” sono le vittime di violenza e “fuori” sono i paesi di Annone, Refrancore, Cerro e Rocchetta Tanaro, dove ci sono le panchine rosse, e anche tanti altri luoghi più lontani.

Gli appuntamenti importanti sono l’8 marzo, Festa della donna, e il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza di genere: per quegli eventi le ospiti del Mughetto fanno trovare pronti i loro lavori. Succede così che le scarpette rosse, leggere come la carta, dense di significato per il vissuto di chi le ha colorate, compaiano appese ai cancelli dei municipi e che vasi di carta crespa, con tulipani su cui sostano farfalle simbolo di libertà, circolino dove la gente si ritrova.

Questa esperienza unica, che si ripete da alcuni anni, è raccontata a Laura Nosenzo da Roberta Matteo, educatrice, responsabile del Mughetto. La comunità (nata nel 2018, 13 posti letto) accoglie donne in cerca di aiuto, italiane e straniere, anche gestanti o con figli minori. C’è chi è scappata dal partner e chi si è sottratta alla ferocia della tratta. Giungono da realtà al di fuori della nostra provincia, Genova, Torino, il Cuneese.

“Sono donne – spiega Roberta Matteo – che hanno denunciato i loro uomini e la cui permanenza in comunità deve restare nascosta per non essere individuate e raggiunte. Non puoi restare indifferente quando dicono: io sono qui, sradicata dalla mia realtà, lontana dalla mia casa, e lui è fuori e continua a fare la vita che faceva prima, per lui nulla è cambiato. Qualche anno fa ho pensato che l’idea degli oggetti, del farli e donarli, avrebbe aiutato le donne a compiere un gesto utile per sé e per gli altri, incrinare le solitudini individuali, agire in gruppo, dire a voi: noi ci siamo, accorgetevi di noi”.

Dietro ai ritagli di carta ci sono pensieri e vicende personali: “Al giorno d’oggi – scrive una di loro – c’è troppa violenza sulle donne, molte spesso vivono con il terrore e purtroppo non sono libere di fare ciò che desiderano”. L’intervista tocca vari aspetti della vita in comunità, dall’accoglienza alla permanenza (in media due anni), nell’ambito di un percorso di recupero che guarda al reinserimento sociale, grazie al lavoro di operatori molto motivati, fino all’uscita verso una nuova vita (ma anche – a volte succede – verso la vita di sempre). Toccanti le storie di amicizia e aiuto che coinvolgono gli abitanti di Annone e Refrancore.
Su sos-donna.it si può leggere il racconto integrale, corredato da numerose fotografie.

Intanto il Progetto SOS donna, curato dall’Associazione Mani Colorate guidata da Piero Baldovino, ha raggiunto il quinto anno di attività con il sostegno di Asl AT, Cisa Asti Sud, Cogesa, Soroptimist Club di Asti, Fondazione CRAT e Banca di Asti.

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Roberta Matteo e il cappello di carta