Lettere al direttore

Mauro Bosia (Uniti si può): “Sanità all’americana mentre le liste d’attesa hanno tempi biblici”

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Riceviamo e pubblichiamo


È di ieri l’ultima segnalazione che abbiamo ricevuto da una concittadina sui tempi di attesa nella sanità pubblica: 10 mesi per un’ecografia all’Asl Asti, con l’alternativa di rivolgersi a una struttura privata – al costo di 97€ – se non si vuole andare in luoghi “esotici” del Piemonte tramite il cup regionale.

Questo avviene mentre da qualche tempo per le vie della città, negli spazi pubblicitari, campeggiano centinaia di manifesti che propongono prestazioni sanitarie, pubblicizzate come un qualsiasi prodotto di largo consumo. È risaputo che nei costumi, in economia e nei consumi seguiamo quanto accade in America. Negli USA le prestazioni sanitarie sono equiparate ad un normale prodotto in vendita, vengono pubblicizzate e proposte a prezzi diversi e, di conseguenza, seguono la logica del marketing. Se spendi di più avrai una prestazione migliore, anche se si parla del bene più prezioso per le persone: la salute.

Un paese civile in tema di prestazioni sanitarie non dovrebbe offrire indistintamente a tutti i cittadini, indipendentemente dal ceto e dalla ricchezza individuale uguali prestazioni? Le più eccellenti che il sistema sanitario pubblico può offrire? Per molto tempo in Italia è stato così: nel rispetto di una Costituzione ben applicata i cittadini hanno potuto usufruire di una sanità universalistica, uguale per tutti, che, quasi sempre riusciva ad offrire prestazioni di eccellenza indistintamente. Ma da almeno 15 anni, a causa del mancato finanziamento della sanità posto in essere da tutti i Governi che si sono succeduti – oltre a macroscopici errori di previsione, come nel caso della sottostima di tutto il personale sanitario – la sanità italiana è scivolata, nel rapporto tra finanziamento e prodotto interno lordo, agli ultimi posti in Europa. Un trend che l’attuale Governo di destra sta confermando continuando a non finanziare adeguatamente la sanità pubblica. La pandemia, e quanto si disse allora sulla sanità, sono ricordi lontani.

Alcuni dati degli Istituti preposti allo studio sull’andamento della sanità in Italia ci dicono che ormai il 30% degli italiani ha rinunciato alle cure pubbliche. Difficile stabilire le percentuali di coloro che si rivolgono al sistema privato e degli tanti che invece, per mancanza di denaro e per i tempi biblici del sistema pubblico ad erogare le prestazioni, rinunciano a curarsi del tutto. In sanità è l’offerta che genera la domanda di prestazioni; in assenza di prestazioni o con un’offerta delle stesse in tempi lunghissimi crolla la domanda, e i cittadini rinunciano alle cure. I poveri mangeranno meglio dei ricchi, come ha sostenuto un Ministro della Repubblica, ma senza soldi non possono curarsi o si curano meno dei ricchi.

Ecco allora che compaiono negli spazi pubblicitari delle vie della città proposte di prestazioni sanitarie da parte di un soggetto privato a prezzi che lasciano stupiti e perplessi chiunque abbia minima conoscenza della sanità, delle tecnologie che la supportano, dei tempi necessari ad ogni singola prestazione di qualità. Ci si chiede se siano arrivati nuovi benefattori, nuovi filantropi innamorati della città e degli astigiani. Noi pensiamo di no e crediamo che certe proposte non siano altro se non “lo specchietto delle allodole” per accaparrarsi fette di mercato e tentare di fidelizzare una clientela. Chiediamo che il sistema pubblico si attrezzi per competere con questo tipo di offerte garantendo ai cittadini prestazioni di qualità in tempi certi come è sempre stato. Sapendo, in ogni caso, che “due fustini non sono meglio di uno”, come recita la gag di Pozzetto.

Mauro Bosia – Uniti si può

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