Bullara (responsabile CISL FP) sulle multe ai medici dell’Ospedale di Bari: “Bene chiarire alcuni punti per comprendere la vicenda”

Salvatore Bullara, responsabile CISL FP, interviene sul fatto di attualità nazionale sulla sanzione comminata ai medici dell’Ospedale di Bari per non aver fatto rispettare i riposi settimanali al personale durante la pandemia, con una riflessione sul caso, utile a chiarire alcuni punti per lo più non chiari ai “non addetti ai lavori”.


In questi giorni si è parlato tanto della sanzione elevata ad alcuni primari dell’ospedale di Bari per non aver fatto fare i riposi settimanali al personale.
Sulla materia è bene chiarire alcuni punti che sicuramente non sono chiari ai non addetti ai lavori.

L’ispezione è nata a seguito di una denuncia di un sindacato autonomo e va subito detto che:
1. alla denuncia andava dato seguito, perché altrimenti si sarebbe commessa una omissione di atti d’ufficio;
2. Riguardo il fatto denunciato, al momento in cui viene provato che la legge non è stata rispettata (cosa che emerge chiaramente già dal semplice esame delle timbrature delle presenze), l’ispettore non ha alcuna discrezionalità nell’applicarla e deve redigere il verbale e comminare la sanzione, perché solo un giudice può decidere di disapplicare una legge.

Nel caso dell’ospedale lo scrivente, anche valutata la particolarissima situazione nella quale non c’è dubbio che occorre dare merito agli operatori della sanità per lo sforzo durante il COVID (anzi è fin troppo riduttivo parlare solo del periodo del COVID), si chiede in base a quale norma di legge o disposizione amministrativa il ministro possa decidere di annullare (sospendere?) un verbale ispettivo che è un atto amministrativo che a conoscenza dello scrivente può solo essere impugnato nelle sedi competenti o al limite annullato in autotutela, ma solo se l’atto è errato, cosa che in questo caso non sembra.
Anche se l’applicazione della legge porta a conseguenze che oggettivamente appaiono paradossali, se l’atto segue le norme di legge non ci sono altri rimedi che l’impugnazione.

Ma questo è il ragionamento solo sul caso specifico, che va però necessariamente ampliato dando finalmente delle risposte ad alcuni interrogativi, alcuni posti da decenni, altri più recenti.

1 ha un senso che il datore di lavoro dei sanitari sia il primario del reparto? Un medico non dovrebbe invece fare il medico e concentrarsi sulla salute dei pazienti senza preoccuparsi delle questioni amministrative (per le quali tra l’altro non nemmeno conoscenze specifiche)?

2 ha un senso programmare il numero chiuso nei posti nelle facoltà universitarie, nelle specializzazioni universitarie o nei corsi di formazione finanziati dalle regioni esclusivamente sulla base delle richieste del mercato del lavoro?
(Già nel decennio passato lo scrivente aveva sollevato il problema relativamente alla disastrosa programmazione dei posti nelle facoltà per la professione infermieristica).
La sanità non può e non deve funzionare come un negozio che ordina gli articoli al fornitore solo quando ha un cliente che lo acquista, perché un medico (o un qualunque altro operatore della sanità) non si crea al bisogno, ma richiede anni di studio e formazione.

La formazione del personale sanitario non può dunque essere tarata sulle necessità del “tempo di pace”, ma deve essere in grado di fronteggiare anche delle emergenze, quindi prima di tutto occorre partire da un sistema di istruzione che parta dal principio che deve formare un numero di persone sufficiente anche a coprire delle emergenze e non solo per il lavoro corrente.
Alle critiche di coloro che osservano che in “tempo di pace” queste persone formate “in sovrapiù” potrebbero rimanere inoccupate occorre rispondere che questo non può e non deve essere la giustificazione per una scellerata politica formativa autolesionista, e che queste persone potrebbero tranquillamente essere inserite nel SSN anche in “tempo di pace”, utilizzandole per lavorare sulla qualità dei servizi e abbattere le liste d’attesa.

Salvatore Bullara
Responsabile CISL FP