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Emilio Lanfrancone:”Il tartufo è il nostro diamante alimentare”. La Fiera di Moncalvo raccontata dal suo storico presidente di giuria

L’idea di organizzare a Moncalvo una fiera dedicata al tartufo era stata sua, ma un embrione esisteva già prima ed era, per così dire, un marchio di famiglia.
Era il 1954 quando Emilio Lanfrancone, allora diciannovenne all’ultimo anno di liceo, propose allo zio Eugenio, sindaco di Moncalvo, e al papà Enrico di realizzare una mostra concorso (la denominazione di fiera sarebbe arrivata più tardi, a partire dagli anni settanta). Il protagonista sarebbe stato il fungo ipogeo per eccellenza, di cui il territorio era molto ricco, e l’esempio da seguire quello della Fiera di Alba.

L’idea piacque e così si diede vita ad un evento diventato ormai tradizione.  “Furono lo zio e il papà a dare vita alla fiera  – dice il signor Emilio, 85 anni – Io avevo buttato l’idea e facevo la guardia alle bancarelle di notte” aggiunge divertito celando con modestia quello che per oltre 60 anni è stato il suo principale ruolo: presidente di giuria.

intervista emilio lanfrancone moncalvo

“Ho sempre fatto la parte più divertente del lavoro – ammette – Un tartufo per capire com’è bisogna palparlo, toccarlo, girarlo e annusarlo. Le truffe sono dietro l’angolo, ci sono sempre stati i furbetti, ma un occhio critico sa riconoscere i prodotti di pregio”.
La passione per i tartufi è un affare di famiglia che si è tramandato da una generazione all’altra. A dare il via è stato il nonno, Pietro Lanfrancone.

intervista emilio lanfrancone moncalvo

“Lui era un trifolao di professione – spiega Emilio – All’epoca era il più famoso dei cercatori del Monferrato. Era uno specialista. Girava tutta la notte con due cani. Aveva una locanda, il Bue Rosso in via Cissello, poi nel 1908 ha comprato l’albergo ‘Il centrale’. Qui si riunivano tutti i trifolao della zona e mettevano in mostra i frutti delle loro ricerche. Un primo embrione di fiera era nato qui, nella sua locanda. Lui raccoglieva tutti i tartufi e poi partecipava ad altre fiere merceologiche a Casale, Alessandria oppure li esportava”.

Grazie a lui all’inizio del secolo scorso i tartufi di Moncalvo arrivavano in America Latina (Venezuela, Argentina, Perù) e negli Stati Uniti soprattutto a Manchester: “La foto di mio nonno con il cane e il bastone finì anche sulla rivista Manchester Guardian” continua con orgoglio.

intervista emilio lanfrancone moncalvo

Per il commercio e trasporto utilizzava contenitori di latta chiusi con la ceralacca. Con l’aiuto del professor Mattirolo, un botanico, Pietro Lanfrancone aveva anche testato la conservazione in salamoia per riuscire a mantenere il prodotto integro per il più lungo tempo possibile per poter sostenere le traversate oltreoceano. Oppure li poneva in cesti enormi coperti con tela e cuciti a mano per portali nelle province di Milano, Como, Biella, Novara e Vercelli.

“Non ho conosciuto personalmente il nonno, ma molti aneddoti mi sono stati raccontati da papà Enrico, con cui all’età di sei anni ho iniziato ad andare per tartufi. Mi raccontava spesso del nonno e sul suo bastone c’era anche una leggenda. Si narra che solo battendo il terreno, dal suono che proveniva dalla terra riuscisse a capire dove scavare per trovare i tartufi”.

Nonno Pietro vinse anche molti premi per il tartufo bianco, ma non solo anche per una varietà ormai estinta, il tartufo rosso. “Io l’avevo assaggiato da bambino. Sarà quasi 80 anni che non si trova più”.

Segno dei cambiamenti dell’ambiente e del rapporto tra uomo e natura.

“Una volta il tartufo nero era raro e quando si trovava il cane veniva bastonato. Ora il tartufo nero è molto diffuso, quasi più del bianco. Questo dipende dalla mancanza di rispetto per la natura. Molti si sono improvvisati tartufai. La ricerca eccessiva ha portato ad impoverire il terreno, la ricerca selvaggia ha distutto le spore. Quando il cane punta un tartufo sta all’uomo scavare un buco per poi richiuderlo, non solo per cancellare le tracce del passaggio,  ma soprattutto perché così le spore non si disperdono e lì, nelle annate successive, possono nascere altri tartufi. Perché il tartufo vive in un rapporto mutualistico con l’albero”.

Emilio sembra lanciare un monito: affinché la Fiera rimanga è necessario tutelare il suo prodotto principe. “Il tartufo è il nostro diamante alimentare, frutto di una sintesi perfetta tra albero, radici, terreno, umidità: tanti parametri non facilmente replicabili”. La Fiera, che all’inizio era più modesta e si svolgeva solo sotto i portici e poi si è allargata occupando tutta la piazza, è il contesto ideale per esaltare tutta l’importanza del tartufo per il territorio. “Nella sua storia la Fiera ha avuto alti e bassi ma non è mai stata sospesa. Sono contento che anche quest’anno, l’anno del Covid, si organizzi. Il pericolo di assembramento è altrove, non in una fiera dove si viene per conoscere, vedere e comprare un prodotto locale”.

intervista emilio lanfrancone moncalvo

Da tradizione la fiera è sempre stata organizzata la terza e quarta domenica del mese di ottobre, quando il tartufo bianco inizia la sua maturazione e a dare il meglio di sè. “Una cosa che non è mai stata fatta, ma mi piacerebbe molto è l’asta del tartufo come ad Alba. Ci vuole un banditore bravo. Io lo farei il piazzista, mi divertirei tantissimo – conclude sorridente Emilio – Quest’anno poi credo sarà una buona annata”

E quali sono allora i consigli di Emilio Lanfrancone ai visitatori per conservare il tartufo e poi gustarlo in tutto il suo profumo?

“Il tartufo soprattutto quello bianco, per mantenerne l’umidità e conservare il profumo, va messo in un barattolo di vetro con della sabbia. Vanno anche bene la farina, il riso o la carta da pacchi o da cucina. Il modo migliore per gustarlo è sull’uovo ‘al fujot’ al tegamino, sulla fonduta o sul riso”.

intervista emilio lanfrancone moncalvo