Uniti Si Può”Difendere i lavoratori della Bcube per difendere il lavoro ad Asti”

Riceviamo e pubblichiamo


Passata una “fase 1” all’insegna dello slogan “Andrà tutto bene”, la “fase 2” e quelle a venire rischiano di essere ricordate come quelle della “disoccupazione” o addirittura della “desertificazione” di interi settori dell’economia del nostro paese.

È un discorso certamente complesso ed occorre fare molta attenzione a non cadere nella generalizzazione. Tuttavia, al netto delle misure adottate dal governo e degli sforzi intrapresi dagli imprenditori virtuosi, bisogna denunciare che questa crisi rappresenta un’occasione ghiotta per una serie di grandi aziende che da anni ormai mettono in atto politiche di delocalizzazione dell’attività produttiva all’estero e di disinvestimento negli stabilimenti del nostro paese.

Lo sanno bene, per esempio, molti lavoratori dell’Ilva e del suo indotto, che da Taranto a Novi Ligure si trovano coinvolti in un piano che prevede migliaia di esuberi: e lo sanno bene, purtroppo, anche tanti lavoratori astigiani, in maniera particolare quelli impiegati in aziende che fanno parte dell’automotive e della filiera Fiat.

Il caso più eclatante è quello della Bcube, che si occupa di logistica. Fca, fresca di prestito garantito dallo stato da 6,3 miliardi, le propone un anno di rinnovo della commessa senza aumento del compenso; la Bcube rifiuta queste condizioni ritenendole troppo sfavorevoli. Nel mezzo, le vite sospese di 210 dipendenti dello stabilimento di Villanova che rischiano il posto da subito; altri 150 circa temono che lo perderanno tra un anno, quando scadrà il contratto anche per la commessa Iveco, sempre del gruppo Fca. Ed un clima di grande incertezza regna anche negli altri stabilimenti astigiani legati a quello che fino a qualche anno fa avremmo chiamato “indotto Fiat”: Johnson Electric, Bluetec, Selmat, General Cap, hanno tutte la cassa integrazione aperta – i cui numeri nell’astigiano, dobbiamo sottolinearlo, sono rimasti ai livelli della “fase 1”- e fino ad ora hanno lavorato davvero poco.

Questa dell’automotive è una “tegola” che appesantisce un quadro provinciale del lavoro già molto preoccupante: i dipendenti dell Msa non prendono lo stipendio da mesi a causa dei problemi aziendali; l’INPS solo ora, ad inizio giugno, sta iniziando ad erogare la cassa integrazione di Marzo, che soltanto in una parte dei casi è stata anticipata dagli istituti bancari; molte categorie, come i tirocinanti, gli intermittenti, le partite Iva con meno di 5mila euro, le domestiche\badanti irregolari, i lavoratori delle mense in scadenza a giugno, sono rimaste escluse dagli ammortizzatori sociali; le piccole aziende che lavorano da contoterziste tremano di fronte alla sospensione delle commesse; se i licenziamenti sono bloccati fino a settembre, molte donne e uomini stanno già vivendo il dramma della perdita del posto di lavoro attraverso il mancato rinnovo dei contratti. Significativamente i numeri della cassa integrazione aperta nell’astigiano sono attualmente identici a quelli della “fase 1”: circa 6000 richieste per 84 aziende nell’industria, circa 450 per 54 aziende nell’artigianato.

Come Gruppo “Uniti si può” siamo convinti dell’assoluta necessità di preservare fino all’ultimo posto di lavoro del tessuto industriale attualmente esistente. Nei prossimi giorni dunque sottoporremo alla firma di tutti i colleghi del Consiglio Comunale un ordine del giorno per impegnare il Sindaco e la Giunta ad occuparsi direttamente della Bcube e delle altre aziende astigiane in difficoltà. Ci auguriamo che nessuno voglia lavarsene le mani asserendo che la Bcube si trova a Villanova: auspichiamo invece che nasca un grande fronte trasversale che, al netto delle differenze politiche, abbia a cuore la sorte del lavoro e dei lavoratori astigiani. In caso contrario, nessuno dovrà stupirsi se in questa provincia rimarranno solo i ruderi delle grandi industrie del Novecento, i pensionati e tanti ragazzi che se ne vanno per trovare lavoro.

Il Gruppo Uniti si può
Mauro Bosia
Michele Anselmo