Lettere al direttore

Marco Castaldo: “Il “mio” piano del traffico”

Riceviamo e pubblichiamo


Da qualche settimana l’attenzione è puntata sul piano del traffico che l’Amministrazione comunale ha deciso di condividere con la cittadinanza per poter ottenere valutazioni e suggerimenti che, poi probabilmente, verranno discussi, e forse, presi in considerazione per eventuali future modifiche.
I vari soggetti, i cittadini in genere, che hanno preso visione del piano del traffico non sono certamente degli esperti in merito e non hanno, in genere, le competenze per poter esprimere un parere e una valutazione tecnica, ma, ognuno per le proprie sensibilità e conoscenze, è legittimato a dare un giudizio complessivo al progetto in generale. Per quanto mi concerne, pertanto, mi limiterò a esprimere considerazioni di massima sul concetto di “progetto” e di “visione” che traspare dal documento presentato.

Le premesse e i presupposti che l’estensore del piano del traffico si pone sono, a mio giudizio, corrette e rispecchiano le esigenze che si sono palesate, anche con maggiore evidenza a causa dell’epidemia del coronavirus. L’esigenza di passare da un traffico automobilistico ad uno pedonale, la necessità di privilegiare il mezzo pubblico nei confronti dell’utilizzo dell’auto privata, privilegiare l’uso della bicicletta e del monopattino elettrici piuttosto che i mezzi motorizzati. Tutte soluzioni auspicabili che, anche prima della pandemia, erano state da più parti e più volte suggerite e richieste perché considerate scelte di buon senso volte a migliorare la vita e la salute di tutti i cittadini.
Il problema nasce, però, quando si cercano di realizzare le azioni per poter raggiungere gli obiettivi di premessa. Qui, infatti, il piano del traffico dimostra tutta la sua debolezza perché propone soluzioni, di fatto, poco incisive e senza considerare una progettualità globale della città. Un progetto che non può essere visto solo dal punto di vista del traffico, bensì deve tenere in considerazione gli aspetti economici, sociali, urbanistici e tecnologici della città e dei suoi cittadini.

La pandemia che ci ha colpiti, pur nella sua tragedia, ci potrebbe avere insegnato qualcosa di utile e noi dovremmo avere la responsabilità e l’onestà intellettuale di comprendere che i nostri modelli di sviluppo devono essere messi necessariamente in discussione per poter trovare principi ispiratori nuovi e modalità operative differenti al fine di poter realizzare un nuovo “pattern” da applicare alla città e alla società che la popola cercando, ovviamente, paradigmi di equità e di rispetto delle dinamiche di vita che siano più rispondenti alle esigenze dell’”uomo” piuttosto che del “prodotto”.
Negli ultimi decenni la città ha progressivamente perso la connotazione “sociale” trasformandosi secondo le esigenze del mercato e in funzione delle necessità commerciali che dovevano essere soddisfatte da una economia di massa che propone modelli standardizzati.
Le periferie sono diventati i luoghi del consumo con la presenza di supermercati e centri commerciali che, ancora oggi, continuano a crescere. I quartieri hanno perso le loro identità e i loro confini sono diventati sempre più fluidi a causa del fatto che gli abitanti si sono visti obbligati a privilegiare l’uso dell’auto per raggiungere, appunto, le periferie che attraggono l’acquirente con proposte commerciali e di consumo “globale” proponendo soluzioni non solo per gli acquisti, ma anche per lo svago e il divertimento, la ristorazione e il “passeggio” festivo.

Il commercio
I piccoli negozi e supermercati di quartiere si sono progressivamente estinti lasciando una grande quantità di locali commerciali vuoti ed inutilizzati e realizzando il depauperamento economico della città stessa. Chi ha la possibilità di raggiungere con la propria auto le zone commerciali è privilegiato nei confronti delle persone e delle categorie più fragili, come anziani e disabili, che, invece, hanno esigenze di mobilità più ridotta e non trovano più possibilità di fare i propri acquisti vicino a casa. Di fatto, anche il centro città, perde di attrattività, sia dal punto di vista commerciale, ma anche per l’aspetto ludico-turistico. Il cittadino, ma anche il turista, è più attirato dalla proposta commerciale e dalla ristorazione di massa, piuttosto che dalle offerte di consumo del centro storico che rimane rivolto ad un pubblico più elitario, sia per esigenze di ordine personale che di ordine economico, considerato che il centro città risulta più costoso rispetto alle periferie.
Occorrerebbe studiare i cambiamenti subiti negli anni nei quartieri della città e, a seconda delle nuove dinamiche instaurate, proporre soluzioni che privilegino il ritorno di un commercio di vicinato per evitare i grandi assembramenti dove sono maggiori i rischi di contagio. In questo modo, inoltre, si ridurrebbe notevolmente l’utilizzo dell’auto privata ed il conseguente traffico e inquinamento da polveri sottili.

Per raggiungere questo obiettivo bisognerebbe disincentivare l’insediamento di grandi centri commerciali in capo alle grandi catene di distribuzione e incentivare il piccolo commercio o le soluzioni di medie dimensioni per quanto concerne i supermercati da realizzarsi nei quartieri. Negli ultimi tempi, infatti, anche alcune grandi marche del commercio tentano di realizzare strutture più piccole da insediare in locali commerciali dislocati nelle varie zone cittadine.
Il centro storico e il centro città, in generale, deve diventare davvero una zona completamente pedonalizzata e servita da mezzi pubblici efficienti e poco inquinanti, ma soprattutto dimensionati proporzionalmente al flusso dell’utenza. Ciò significa, pertanto, privilegiare mezzi di piccole dimensioni e con frequenti passaggi a prezzi, ovviamente calmierati al fine di disincentivare l’utilizzo dell’auto privata.
La scelta di pedonalizzare il centro storico in senso lato presuppone l’indispensabile riqualificazione e ristrutturazione della pavimentazione di strade, marciapiedi, zone verdi che, pur mantenendo la loro tipica struttura in porfido o lastricato devono risultare uniformi e accessibili anche ad un’utenza diversamente abile o anche, semplicemente, di un’età non più giovane e con qualche problema di deambulazione. Antico storico non significano certamente degradato e trascurato.

I servizi e i percorsi culturali
Le maggiori e più interessanti attrattive turistico-culturali della città sono, per l’appunto, ubicate nel centro storico che dovrà essere accogliente nei confronti dei turisti, i quali però, sceglieranno Asti come loro meta di svago e accrescimento culturale solo se la città sarà in grado di fornire servizi moderni, tecnologici e coordinati tra loro. Significa, pertanto, organizzare percorsi culturali del centro storico suddivisi per peculiarità e zone di interesse. Tali percorsi dovranno essere consultabili da una specifica segnaletica con la presenza di totem esplicativi e specifiche codifiche in QR-Code che possono essere attivati tramite smartphone e da specifiche app realizzate per fornire informazioni storiche, culturali, turistiche e comprensive delle relative proposte enogastronomiche. L’offerta turistica deve essere coordinata e pianificata attraverso la realizzazione di un vero portale Web dedicato alla città e al territorio circostante che, non solo attiri il turista per le bellezze che propone, bensì per i servizi che mette a disposizione ancor prima che il turista arrivi sul nostro territorio.

Piazza Alfieri
Occorre avere finalmente il coraggio di trasformare la piazza centrale della città, piazza Alfieri, in un grande parco cittadino dove poter inserire, al suo interno, anche piccole realtà commerciali e di somministrazione, insieme a spazi dedicati al passeggio, al gioco per bambini e giovani e a soluzioni temporanee di spazi dedicati alla promozione di prodotti locali, di installazioni turistico-culturali. Una parte della piazza potrebbe vedere realizzata una grande struttura polifunzionale pensata per i mesi invernali.
Sarà necessario rivedere le modalità di svolgimento e le tempistiche dei mercati, privilegiando le soluzioni rionali e limitando spazi e tempi di quelli che attualmente si svolgono nel centro città.

Strutture inutilizzate
Tutto quanto sopra esposto non può esimersi di essere valutato in funzione della inevitabile e ormai tardiva valutazione di ciò che si vuole realizzare nei molteplici spazi e strutture inutilizzate di questa città. Strutture pubbliche quali l’ex ospedale, l’Enofila, l’ex maternità, ma anche strutture private quali l’ex Upim e alcune zone commerciali del centro che negli anni hanno perso di attrattiva. Le proposte potrebbero essere molteplici e potrebbero essere sia di valore strutturale, ma soprattutto sociale.

Il vecchio ospedale, ad esempio, potrebbe trasformarsi in una soluzione abitativa composta da piccoli appartamenti inseriti in una struttura più grande che ospiti spazi comuni di condivisione per realizzare, di fatto, progetti co-housing per soggetti fragili, anziani, disabili, ma anche semplicemente per cittadini, studenti, lavoratori non residenti che necessitano di servizi comuni. Queste realtà potrebbero andare incontro alle esigenze di rivedere il modello delle residenze per anziani che ha dimostrato tutta la sua fragilità durante la pandemia e che potrebbe nuovamente essere il punto debole che colpisce soggetti di per sé già fragili.

La riqualificazione degli edifici pubblici e privati non solo rappresenta un dovere civico e politico nei confronti della popolazione cittadina che deve poter fruire di tutti gli spazi in maniera utile per il proprio benessere e per lo sviluppo della città stessa, ma sarebbe il volano di un’economia del territorio che andrebbe a coinvolgere molteplici attività tradizionalmente radicate nel tessuto socioeconomico quali l’edilizia, ad esempio, ma anche l’impiantistica in genere. Quest’ultima, infatti, nella sua accezione più tecnologica e moderna, rappresenta la vera innovazione che deve coinvolgere tutte le dinamiche progettuali della città trasformandola in una smart City. L’utilizzo delle reti associate agli strumenti tecnologici e alla valutazione dei “Big data” ci consentirebbero risparmi energetici, riduzione dell’inquinamento, organizzazione del flusso veicolare, vigilanza e controllo del territorio.

È evidente, in conclusione, a mio avviso, che il piano del traffico, avulso da tutto quanto sopra descritto, risulta incompleto, poco utile e anche costoso perché rischia di non essere inserito in un progetto complessivo, realizzando di fatto un costo e non un beneficio per i cittadini. Il dovere politico di un’amministrazione locale è quella di fornire servizi alla cittadinanza in una ottica di equità e di efficienza della “cosa pubblica” e non deve semplicemente rispondere all’esigenza di soddisfare le aspettative del proprio elettorato di riferimento, né tantomeno limitarsi a compiere un esercizio amministrativo unicamente per giustificare la propria esistenza.

Mi auguro, infine, che le sollecitazioni e le osservazioni della società civile possano essere utili e spronare l’amministrazione cittadina per la realizzazione di un Progetto di “visione” complessivo e condiviso, moderno, equo e solidale.