I risultati dell’analisi economica della CGIL: “Asti non gode di buona salute”

La retribuzione media oraria nelle imprese private astigiane è inferiore a quella regionale (13,6 Euro lordi/ora rispetto a 14,6 Euro lordi/ora). In particolare, è inferiore a tutte le province ad eccezione del Verbano-Cusio-Ossola: come per il PIL e il valore aggiunto, Asti si colloca al penultimo posto. In tutte le province, le retribuzioni aumentano al crescere della fascia di età («effetto anzianità/esperienza») e del titolo di studio («effetto capitale umano»). Inoltre sono più alte, in media, per gli uomini rispetto alle donne e per gli italiani rispetto agli stranieri. In media, hanno retribuzioni più basse i lavoratori a tempo determinato e in regime di part time: queste categorie, pertanto, non solo conseguono una retribuzione annua più contenuta per effetto del monte ore (a causa delle discontinuità contrattuali e dell’orario giornaliero ridotto) ma sono anche penalizzate da una retribuzione oraria più bassa. Infine, come ampiamente documentato dalla letteratura, un altro fattore che spiega le differenze retributive è la dimensione di impresa: maggiore la classe dimensionale, più alta la retribuzione dei lavoratori. La ridotta dimensione delle imprese astigiane pare quindi una caratteristica fortemente penalizzante per i salari di questo territorio. Si osservi infatti come, a parità di classe dimensionale, le retribuzioni astigiane sono inferiori alla media regionale soltanto per l’effetto «distorsivo» della provincia di Torino, che contribuisce significativamente ad alzare la media regionale. Dopo quelle torinesi, le grandi imprese verbanesi e astigiane sono quelle che garantiscono le retribuzioni più elevate ai propri dipendenti.

Il basso livello di capitale umano della popolazione piemontese: Asti è tra le ultime province in Italia nella creazione di nuovi laureati.
L’incidenza dei laureati tra gli occupati (si vedano le osservazioni di De Panizza e De Santis pubblicate in ISTAT (2018), è un indicatore dello stato di salute del mercato del lavoro, in quanto rappresenta la diffusione del capitale umano di maggiore qualità nel tessuto produttivo. Una bassa offerta di capitale umano è un ostacolo alla capacità innovativa e rappresenta, come abbiamo mostrato, un fattore penalizzante per le retribuzioni del lavoro dipendente. Rileviamo, a questo proposito, che nell’ultimo decennio si è accentuato gravemente il gap tra Piemonte e Veneto da una parte e Lombardia, Toscana e Emilia-Romagna dall’altra. I laureati nel 2018 rappresentavano il 21,9% degli occupati piemontesi, più del 20,8% del Veneto ma circa 2 punti percentuali in meno di Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana.
Il Piemonte è anche, tra le grandi regioni del Centro-Nord, quella in cui si è prodotta la crescita più bassa del peso dei laureati tra gli occupati (+5,9 punti percentuali tra il 2008 e il 2018).
Il livello di capitale umano espresso dalla popolazione piemontese è molto basso: ad eccezione di Biella e Torino, tutte le province del Piemonte si collocano agli ultimi posti nella classifica italiana del tasso di nuovi laureati ogni 1.000 giovani residenti. Asti nel 2016 si trovava al 102esimo posto, tra le 110 province italiane, con un tasso di 59 per 1.000 residenti.

Nel 2017, le imprese torinesi e vercellesi hanno attivato iniziative di formazione per il personale in proporzione maggiore rispetto a quelle delle altre province piemontesi. Asti si distingue, in negativo, per la più bassa percentuale della Regione (26,6% rispetto a quella regionale complessiva del 30,5%). Essa mostra rispetto al 2016 un calo del 2,6% che non trova riscontro nelle altre province, in cui la propensione alla formazione è aumentata (ad eccezione di Cuneo, dove si è osservato un calo dell’1,3%). Ancora una volta, il gap della nostra provincia sembra in parte attribuibile alla scarsa incidenza di aziende medie e grandi che, in tutte le aree considerate, hanno fatto ricorso alla formazione in proporzione maggiore rispetto a quelle piccole e micro. Basti considerare che, nel 2016, il 66,1% delle imprese astigiane con più di 50 addetti ha attivato la formazione a fronte di un 26,1% osservato tra le imprese fino a 49 addetti.

Il mancato decollo delle Start Up Innovative: solo 6 registrate ad Asti

In valori assoluti il Piemonte è la 6° regione d’Italia per numero di Start Up Innovative (502, al primo trimestre del 2018) ma, considerando la loro «densità» (il numero di SUI in rapporto alla popolazione residente di 23-55 anni), si posiziona soltanto al 13° posto. L’indice di densità piemontese è pari a 1,8, mentre il Lazio ha un indice di 20, l’Emilia-Romagna e la Basilicata di 19, la Lombardia di 15. Solo a Torino e Novara la loro diffusione è in linea con la media nazionale. Le SUI piemontesi si caratterizzano inoltre per una bassa redditività: i ricavi, la posizione finanziaria netta («debiti finanziari» – [«attività finanziarie a breve» + «disp. Liquide»]) e il ROI (rapporto tra utile netto esercizio e capitale proprio) forniscono una panoramica sull’incerta fruttuosità dell’investimento nelle SUI e sulle potenziali difficoltà a stabilizzare/incrementare il proprio business. Il loro valore aggiunto netto mediano è poco meno della metà di quello dell’Emilia-Romagna e 1/3 di quello veneto.
Asti, con 0,4 SUI ogni 1.000 imprese, era nel 2018 la provincia con la minor diffusione dopo Vercelli. Delle 502 start up innovative piemontesi, solo 6 sono localizzate nella nostra provincia: una operante nelle attività professionali, scientifiche e tecniche, una nella ricerca e sviluppo, una nella produzione di software e consulenza informatica, una nella fabbricazione di autoveicoli e due nella fabbricazione di macchinari.