“Legge 180/78: Basaglia, i diritti e il valore dell’uomo”

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Domenico Massano.


“Il 13 maggio 1978, quaranta anni fa, era promulgata la legge n. 180 “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”, comunemente chiamata “Legge Basaglia”, una vera e propria rivoluzione nell’ambito dei servizi di salute mentale che portò, in particolare, alla chiusura dei manicomi. In occasione dell’importante anniversario, potrebbe essere utile riscoprire, attraverso alcuni scritti, come il riconoscimento dei diritti e del valore della vita di ogni uomo, furono i presupposti irrinunciabili da cui Basaglia iniziò questo grande percorso di liberazione e di dignità che ha avuto, e ha tuttora, così grande rilevanza per tutta la società.

In un testo del 1975, Crimini di pace, Franco Basaglia e sua moglie Franca Ongaro sviluppavano un’importante riflessione articolata attorno al concetto di “valore dell’uomo”: “Ciò che deve mutare per poter trasformare praticamente le istituzioni e i servizi psichiatrici (come del resto tutte le istituzioni sociali) è il rapporto fra cittadino e società, nel quale si inserisce il rapporto fra salute e malattia. Cioè riconoscere come primo atto che la strategia, la finalità prima di ogni azione è l’uomo (non l’uomo astratto, ma tutti gli uomini), i suoi bisogni, la sua vita, all’interno di una collettività che si trasforma per raggiungere la soddisfazione di questi bisogni e la realizzazione di questa vita per tutti. Ciò significa capire che il valore dell’uomo, sano o malato, va oltre il valore della salute o della malattia”.

Alcuni anni dopo, contestualmente alla promulgazione della legge n. 180/78, i coniugi Basaglia approfondivano tali riflessioni nel saggio “Condotte perturbate”, in cui i due autori dopo aver riproposto con parole quasi identiche lo scritto del 1975, ne articolavano ulteriormente il significato, specificando che il fatto di assumere la condizione di salute/malattia non come valore assoluto, bensì relativo, ha come conseguenza una sorta di ribaltamento di quelle analisi sociali che scaricano sui singoli il dovere di adattarsi a un concetto di normalità predefinito e, spesso, informato esclusivamente a logiche di tipo economico e competitivo: “Se il valore è l’uomo e i suoi bisogni, all’interno di una collettività dove la produzione serve alla sopravvivenza di tutti, il malato, il menomato, l’handicappato, il deviante, il disturbato psichico, l’inefficiente non sono gli elementi negativi di un ingranaggio che deve comunque procedere a senso unico, ma fanno parte dei soggetti per soddisfare i bisogni dei quali la produzione esiste e si sviluppa”.

La legge n. 180 è stata una tappa fondamentale di quella lunga marcia attraverso le istituzioni che Basaglia intraprese per trasformare la realtà, per cambiare il mondo. Tale cammino, tuttavia, non si è certo esaurito. Sembra, anzi, fondamentale recuperarne i presupposti per poterlo proseguire con slancio e speranza in una società in cui le contraddizioni portate dalla malattia, dalla disabilità, dalla povertà, dalle migrazioni, sono sempre meno assunte e affrontate in un’ottica comunitaria e in cui le ingiustizie sociali sono, troppo spesso, trasformate in colpe da addossare alle persone più fragili, ricusando una responsabilità “rivoluzionaria” nella sua ovvia semplicità, come lo stesso Basaglia ricordava: “Basta comunque rileggere la legge sull’assistenza psichiatrica per convincersi che ciò che passa, agli occhi di molti, come un’avventura rischiosa e piena di minacce, è soltanto l’inserimento nella normativa sanitaria di un elemento civile e costituzionale che sarebbe dovuto esservi implicito e non lo era: il riconoscimento dei diritti dell’uomo, sano e malato”.