Trenitalia: chiusura degli impianti periferici a danno del trasporto regionale

Trenitalia ha confermato la chiusura di impianti periferici in Piemonte.

Lunedì scorso, 16 gennaio, i rappresentanti sindacali dei lavoratori di Trenitalia in Piemonte hanno incontrato i vertici regionali dell’azienda in merito alla chiusura degli impianti, annunciata già lo scorso novembre. La direzione ha confermato l’intenzione di sopprimere sette sedi decentrate riservate al personale di bordo e quattro riservate ai conducenti. Tra queste rientra anche Asti. Tutto questo comporterà lo spostamento coercitivo di 182 lavoratori a distanza dai 30 agli oltre 70 km dalla loro residenza.

“Il mantenimento delle sedi periferiche dovrebbe essere il punto di partenza per la riattivazione delle linee locali soppresse da Cota e Chiamparino che l’assessore ai trasporti Balocco ha affermato più volte di voler riattivare. La chiusura rappresenta quindi la morte, di fatto, di tali linee ferroviarie” commentano i consiglieri regionali del M5S Piemonte, Federico Valetti e Francesca Frediani.

Della stessa idea i rappresentanti sindacali che commentano: “Il progetto organizzativo con il quale Trenitalia ha deciso di chiudere la quasi totalità degli impianti decentrati in Piemonte è esattamente l’opposto di quanto sta facendo Trenord che cerca di portare il lavoro nelle periferie facilitando così la vita dei dipendenti”.
Secondo gli esponenti pentastellati la Regione dovrebbe pretendere da Trenitalia clausole sociali per mantenere in vita gli impianti decentrati: “Chiediamo che chiunque sia l’affidatario dei servizi ferroviari regionali, non pensi di fare risparmi sulla pelle e sulla sicurezza dei lavoratori, né a discapito dei territori che ad oggi ancora aspettano che il treno li attraversi di nuovo”.

E proprio sulla sicurezza dei lavoratori si alzano le voci di protesta degli RSU: “Per quanto concerne i lavoratori del personale mobile ferroviario, il pendolarismo è una piaga ingestibile per il fatto che, gli orari di lavoro, tipici della categoria, non consentono loro di fruire dei mezzi pubblici. Immaginate cosa potrebbe comportare, per un macchinista di Asti, iniziare la prestazione lavorativa a Torino alle 3.00 di mattina: dovrà raggiungere la località di lavoro con l’ultimo treno ed attendere dalle 23.30 l’ora di inizio, in attesa su di una sedia nella saletta del personale. Oppure dovrà utilizzare mezzi privati da solo e ritornare al termine del lavoro con una notte di lavoro sulle spalle. Sono disagi che si amplificano se consideriamo che negli impianti in questione l’età è piuttosto avanzata: il 90% dei lavoratori ha superato i 50 anni. Ci troveremo quindi con degli zombie a guidare e a scortare i treni quando sarebbe possibile continuare a garantire il lavoro presso gli impianti ora esistenti!”

La decisione di Trenitalia sembra andare in un’unica direzione: eliminare tutte le sedi decentrate con lo scopo di aumentare la produttività. La volontà dell’azienda sarebbe quella di concentrare le risorse a Torino per meglio concorrere alle gare: in questo modo investirebbe le risorse per concorrere ai due lotti più proficui, servizio metropolitano e regionali veloci, togliendone al territorio interessato dal terzo lotto, cioè il trasporto regionale.
Secondo i rappresentanti sindacali non si tratta di una politica efficiente: “Il recupero in questione è tutto da verificare. Se anche fosse, con la necessità di pagare alberghi per il personale per garantire i primi treni del mattino nelle località ex sede di impianto che prima venivano effettuati dal personale del luogo, ci sarebbe una perdita economica. Il terzo lotto, [trasporto locale costituito da treni regionali integrati con bus N.d.R], che non rientra nelle priorità di Trenitalia, porterebbe ad un aumento dei costi e all’impossibilità di riaprire le linee sospese per assenza di personale in situ. Una nuova e ipotetica ditta aggiudicataria si troverebbe a sostenere ulteriori spese di assunzione. Non crediamo che le nostre province e la nostra regione si possano permettere questa politica, soprattutto avviene, non per necessità, ma per mera speculazione da parte di un’impresa che, oltre a vantare profitti sta ricevendo garanzie per l’affidamento di servizi e contratti quadriennali che non giustificano minimamente queste operazioni sulla pelle dei lavoratori e sulle finanze pubbliche”.
La partita è ancora aperta. Mercoledì 1 febbraio ci sarà un nuovo incontro tra RSU e azienda. Nelle prossime settimane ci si aspetta inoltre che la questione arrivi all’attenzione e discussione del Consiglio regionale.