Dopo gli interventi di Mario Renosio, Direttore Israt, sulle cause all’origine dello scoppio della Grande Guerra e del successivo intervento del nostro Paese, Nicoletta Fasano ha approfondito le peculiarità del conflitto, fatto di enormi masse di uomini bloccati come topi nelle trincee, alla mercé di malattie e di armi sempre più sofisticate (dai gas ai primi carri armati e ai nuovi grandi cannoni), che convivevano con baionette e mazze ferrate.
Ancora oggi è difficile fare un conto preciso delle vittime. Le cifre ufficiali parlano di circa 650-670 mila militari italiani morti, di cui cinquemila originari dell’astigiano. A Canelli, il monumento di Piazza della Repubblica elenca 141 nomi, da Abacot Giuseppe a Visca Umberto. Enormi i costi sociali del conflitto, con le campagne svuotate di manodopera giovane e imponenti flussi di profughi e feriti da gestire. Nella sola Asti, città di trentamila abitanti all’epoca, fu allestito un ospedale per curare quarantamila feriti. La malnutrizione e l’influenza spagnola mieterono poi altre centinaia di migliaia di vittime tra una popolazione stremata e resa vulnerabile dai lunghi anni del conflitto. L’onda lunga della guerra e la creazione del mito della ‘vittoria mutilata’ ebbero infine un ruolo non secondario nell’ascesa al potere di Mussolini.
Numerose e stimolanti le domande del pubblico, tra ricordi di nonni caduti sull’Isonzo, ritrovamenti di documenti d’epoca e similitudini con la situazione odierna.
Insomma, un buon modo, partecipato dal basso, per ricordare le vittime di quell’orrenda carneficina di cent’anni fa.