Oggi all’Istituto Verdi di Asti il concerto “Le donne di Giacomo Puccini”

Nel 2024 il mondo della musica ricorda il primo centenario della scomparsa di Giacomo Puccini, una ricorrenza della massima importanza, che viene celebrata dai teatri lirici e dalle stagioni concertistiche di tutto il mondo.

Da parte sua, oggi, venerdì 26 aprile alle 18,30 nel Salone dei Concerti del Civico Istituto di Musica “Giuseppe Verdi”,  Regie Sinfonie terrà vivo il ricordo del grande compositore lucchese con il concerto “Le donne di Giacomo Puccini”, una incantevole antologia di trascrizioni strumentali delle arie più famose delle opere pucciniane eseguite dal duo pianistico formato da Aurelio e Paolo Pollice. Nel corso della serata Aurelio e Paolo Pollice accompagneranno il pubblico alla scoperta di queste eroine della lirica, che nella maggior parte dei casi finiscono per pagare a caro prezzo l’amore della loro vita.

Il costo del biglietto è € 5,00, per informazioni e prenotazioni di biglietti: segreteria.asti@musicidisantapelagia.com – 0141/1706904 – direttamente in sede in orario 15.30-18.30.

Il programma partirà da Manon Lescaut, opera che alla sua prima rappresentazione al Teatro Regio di Torino nel 1893 ottenne un vero e proprio trionfo. La giovane protagonista si trova nella classica situazione di dover scegliere tra Geronte, amante anziano ma molto benestante e Renato des Grieux, il giovane di modesta origine di cui è perdutamente innamorata. La scelta di vivere con quest’ultimo ha conseguenze nefaste, perché Geronte si vendica denunciandola per furto e facendola condannare alla deportazione in America. Sulla nave che la porta al suo destino sale però anche Des Grieux, che la vedrà alla fine spirare tra le sue braccia. I due brani proposti sono tra i vertici dell’opera, le arie «In quelle trine morbide», nella quale Manon medita con amarezza sulla scelta di anteporre la ricchezza a un amore povero ma felice, e la drammatica «Sola, perduta e abbandonata», con cui la ragazza si congeda dalla vita.

Tre anni più tardi sempre al Regio di Torino venne tenuta a battesimo sotto la direzione di un giovane Arturo Toscanini La bohème. Basata su una vicenda piuttosto scabrosa, la vita quotidiana di quattro artisti di poca fortuna e delle loro amanti, l’opera fu accolta con una certa freddezza, che però venne ben presto cancellata dalla commozione provata dal pubblico per la triste fine di Mimì, uccisa dalla tubercolosi. Con l’aria «Sì, mi chiamano Mimì» la protagonista si presenta con poche e semplici parole a Rodolfo, il giovane poeta per il quale proverà una passione irresistibile destinata alla fine a chiudersi in una sordida soffitta. Di carattere completamente diverso è l’aria provocante «Quando m’en vo», cantata da Musetta, per fare ingelosire Marcello, il pittore amico di Rodolfo con cui aveva intrecciato una turbolenta relazione, che – grazie a questo stratagemma – viene prontamente riallacciata a scapito di Alcindoro, il ricco borghese a cui la ragazza si era legata. Nell’atmosfera gelida e desolata del terzo quadro, Mimì canta «Donde lieta uscì», aria intrisa di una disperata dolcezza, con cui la ragazza – ormai certa di non poter guarire – si accommiata da Rodolfo, dicendogli «addio senza rancor» per i litigi, le immotivate gelosie e le incomprensioni degli ultimi mesi.

Ritenuta da molti l’opera più drammatica di Puccini, Tosca narra la vicenda dell’amore tra Floria Tosca e il pittore Mario Cavaradossi, tra i quali si inserisce il barone Scarpia, spregiudicato capo della polizia papalina. Nonostante le speranze di una serena vita di coppia, espresse nell’aria di Tosca «Non la sospiri la nostra casetta», Cavaradossi viene arrestato per essersi rifiutato di rivelare il luogo in cui si nasconde il fuggiasco Angelotti, e – per salvargli la vita – la giovane cantante è costretta a cedere alle profferte amorose di Scarpia, un atto che la ripugna profondamente, ma che accetta per cercare di salvare il suo amore. Questa situazione viene resa nitidamente dalla celebre aria «Vissi d’arte», con la quale Tosca rivela il suo insanabile dolore per un mondo che sente ormai del tutto estraneo alla sua sensibilità, prima di pugnalare Scarpia, nella convinzione che Mario fosse ormai salvo grazie al suo sacrificio. Purtroppo, il barone non aveva nemmeno pensato a concedergli la grazia, per cui – dopo una notte insonne («E lucevan le stelle») – il pittore viene realmente fucilato. Sconvolta, Tosca si getta dagli spalti di Castel Sant’Angelo urlando: «O Scarpia, avanti a Dio!».

Con Madama Butterfly, Puccini si allontanò dal realismo dei paesaggi urbani europei, per immergersi in esotiche atmosfere orientali. Al centro di quest’opera – caduta clamorosamente alla Scala nel 1904 – c’è Cio-Cio san, una quindicenne di buona famiglia, caduta in disgrazia e costretta a diventare geisha, che spera ardentemente di riacquistare lo status sociale con un buon matrimonio. L’occasione giusta giunge con Benjamin Franklin Pinkerton, ufficiale della marina statunitense, con il quale poco dopo si sposa. La ragazza è felice e innamoratissima, mentre Pinkerton vive la storia con passione, ma senza alcun impegno. Partito il marito per gli Stati Uniti, Cio-Cio san vive tre anni in assoluta fedeltà, crescendo un figlio di cui Pinkerton non sa nulla e ignorando ostinatamente tutti coloro che
le consigliavano di rifarsi una vita. No, lei non ha dubbi è aspetterà con pazienza il suo unico grande amore, che arriverà presto su una nave («Un bel dì vedremo»).

Dopo il celebre Coro a bocca chiusa, Pinkerton arriva, ma con una moglie americana, che spezza crudelmente il cuore della ragazza, che dovrà anche lasciare il figlio al padre, per farlo educare in America. Con la straziante «Tu, tu, piccolo Iddio!» Cio-Cio san si uccide per il dolore, pugnalandosi accanto al figlio bendato, che sventola per compiacere il padre una piccola bandiera americana, nella speranza che lui si ricordi di sua madre. Un finale decisamente sconsigliato alle persone più sensibili.

Basata sulla omonima commedia di Carlo Gozzi, Turandot è l’ultimo capolavoro di Puccini, che alla sua morte avvenuta nel 1924 la lasciò incompiuta. Il terzo atto fu portato a termine da Franco Alfano, ma alla prima rappresentazione Arturo Toscanini arrestò la rappresentazione a metà del terzo atto, due battute dopo il verso «Dormi, oblia, Liù, poesia!», ovvero dopo l’ultima pagina completata dal compositore, e, secondo alcune testimonianze, si rivolse al pubblico con queste parole: «Qui termina la rappresentazione, perché a questo punto il Maestro è morto». La protagonista è una principessa cinese fredda e spietata, che per cedere alle nozze sottopone i suoi pretendenti a tre enigmi, facendo condannare a morte tutti quelli incapaci di dare le risposte corrette. Turandot non è un personaggio malvagio, ma una donna ferita nel profondo da precedenti vicissitudini – un tema tristemente molto attuale – che alla fine riesce finalmente a provare il vero amore per il principe Calaf (quello del «Vinceròòòòòò!»).

Il programma comprende la scena in cui Calaf risolve gli enigmi («Straniero ascolta») e «Tu che di gel sei cinta», l’aria del terzo atto che mette a confronto Turandot e Liù, la giovane schiava che si uccide per non rivelare alla principessa il nome di Calaf, e che contribuisce ad accendere nel cuore di Turandot la fiammella dell’amore.